mercoledì 25 marzo 2009

L'odio di Mathieu Kassovitz


Title: L'odio
Director: Mathieu Kassovitz
Years: 1995
Genre: Drammatico

In bianco e nero, un giorno e una notte nella vita parigina di quei ragazzi della periferia senza studi e senza lavoro e senza niente, isterizzati dal vuoto e dall'assenza d'ogni collocazione sociale, nevrotizzati dalla mancanza di futuro, facilmente delinquenti perché privi di soldi, che in ogni metropoli del mondo mettono tanta paura agli altri, agli integrati. Ventiquattr'ore nella vita dei loro odiati nemici che li odiano, i poliziotti: l'odio reciproco è l'emblema del conflitto tra la società e i rifiutati, gli esclusi dalla società. E qualcosa che in Europa non si vedeva da tempo: un film contro la polizia. All'inizio, la polizia ha ferito gravemente in uno scontro un ragazzo arabo che poi morirà. Di qui, manifestazioni giovanili di protesta, fuochi, lacrimogeni, botte, auto rovesciate e arse, assalti al commissariato, vetrine in pezzi, slogan, feriti trascinati via per le gambe, fumo. Poi altre brutalità poliziesche, arresti abusivi, interrogatori abietti, razzismi socioetnici violenti, sino all'estremo colpo di pistola sfuggito a un poliziotto prepotente e sbadato, che fa esplodere la testa d'un ragazzo. Tre ragazzi simili, un nero, un arabo e un ebreo, sono i protagonisti di queste ore di massima tensione, impiegate pure in vagabondaggi inani e rischiosi che diventano un percorso attraverso la loro esistenza brutta. Alla maniera dello Spike Lee di Fà la cosa giusta, Mathieu Kassovitz, 27 anni, parigino, figlio d'un cineasta e d'una produttrice, già autore di Metisse, premiato per la regia all'ultimo festival di Cannes, ha fatto un film brutale e disinvolto, destrutturato e costruito con rigore: tempo condensato il cui trascorrere è scandito da cartelli, una pistola perduta da un poliziotto che serve da filo conduttore passando di mano in mano, l'agonia del ragazzo arabo colpito dalla polizia che assicura suspense, due parti simmetriche svolgentisi una a Parigi e una in periferia. Alla maniera del Martin Scorsese di Taxi Driver, Kassovitz ha fatto un film che è insieme drammaticamente realistico e sotterraneamente surreale. L'odio aggredisce un problema sociale francese in stile americano, ma si distingue da altri racconti neri della periferia, da tanti altri banlieue-film: per la sua durezza sovversiva, per la rabbia unita a svagatezza dei protagonisti, per il linguaggio gergale che imprime alla narrazione gran ritmo e una terribile energia. Il sospetto d'artificiosità, d'un eccesso di furba abilità non toglie nulla alla forza, alla potenza disperata del film; né alla bravura e alla sicurezza d'un nuovo regista.


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